Maurizio Agliana

Fabrizio Quattrocchi. Un caso frettolosamente archiviato

Fabrizio Quattrocchi. Un caso frettolosamente archiviatoCi sono voluti nove anni per arrivare a una sentenza, di primo grado, nei confronti di alcuni dei responsabili della barbara uccisione di Fabrizio Quattrocchi in Iraq. Una sentenza che certamente non può soddisfare i parenti del giovane contractor genovese, dato che i giudici della prima Corte d’Assise di Roma hanno assolto dall’accusa di terrorismo Hamed Hillal Al Qubeidi e Hamid Hillal Al Qubeidi, componenti del gruppo islamista Falangi Verdi responsabile, nell’aprile del 2004, del rapimento di Salvatore Stefio, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e appunto Fabrizio Quattrocchi. Non sono state dunque accolte le richieste del pubblico ministero Erminio Amelio (venticinque anni di carcere per finalità terroristiche), così come non è stato attribuito valore probatorio alle dichiarazioni di Stefio che in udienza aveva riferito le parole di uno degli imputati (a piede libero in Iraq) circa la partecipazione alla strage di Nassiriya. Secondo i magistrati l’atto di sequestrare e uccidere i prigionieri italiani non avrebbe potuto pregiudicare l’assetto democratico dello Stato italiano. Il legame degli imputati con gruppi eversivi non sarebbe stato provato, nonostante i numerosi video diffusi a rivendicazione delle proprie azioni, il lungo lavoro degli inquirenti americani e il fatto che gli stessi accusati abbiano scontato un periodo di detenzione presso il famigerato carcere di Abu Ghraib, vicino a Baghdad. Una sentenza che ha lasciato di stucco i parenti di Quattrocchi, già in passato oggetto di polemiche dopo la decisione dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di conferire alla memoria di Fabrizio una medaglia d’oro per il coraggio mostrato di fronte agli assassini e le parole pronunciate al momento dell’esecuzione («Vi faccio vedere come muore un italiano»).

Le motivazioni della sentenza non sono piaciute alla risicata rappresentanza parlamentare di destra (Fratelli d’Italia, in testa) mentre negli altri schieramenti politici bisogna registrare un atteggiamento di distacco e disinteresse. Difficile dimenticare le polemiche innescate in passato da Giuliana Sgrena e Rosa Calipari, poi eletta in Parlamento tra le fila del Pd, circa la decisione presidenziale di conferire la medaglia d’oro a Quattrocchi: la giornalista del Manifesto, già oggetto di un sequestro a scopo di estorsione in Iraq conclusosi con la morte dell’agente Sismi Nicola Calipari, ha sempre qualificato Quattrocchi come mercenario (nonostante il contractor italiano non svolgesse compiti di “guerra sporca” ma di protezione fisica di personalità rilevanti, nell’ottica di un subappalto compiuto dalle forze americane, in accordo con quanto disposto dalla legge 210/95 in merito alla definizione dell’attività tipica del mercenario).

La sentenza della Corte d’Assise di Roma ha destato scalpore anche perché di fatto contraddice le motivazioni per le quali Ciampi concesse la medaglia d’oro a Quattrocchi: nella motivazione ufficiale si spiega, infatti, che l’atto di eroismo del giovane genovese deve essere inquadrato nell’ambito di un’azione che non può che essere definita come terroristica.

La vicenda di Quattrocchi merita comunque attenzione, al di là della sentenza che il pubblico ministero impugnerà in appello. Per esempio suscitano interesse alcune indiscrezioni giornalistiche, pubblicate sul Corriere della Sera, secondo le quali sarebbe circolata la notizia del rapimento di Quattrocchi due giorni prima della data ufficiale del prelevamento (12 aprile 2004) avvenuto durante uno spostamento in auto dall’Iraq alla Giordania. Un rapporto Digos cita una telefonata avvenuta tra un dirigente Digos e un agente Sisde nella quale sarebbero state chieste informazioni su due genovesi rapiti in Iraq, tra cui lo stesso Quattrocchi. In pratica diversi elementi, tra cui il nome di Quattrocchi e la società per cui lavorava, ovvero l’Isba (acronimo di Investigazioni, Bonifica, Servizi sicurezza e Allarmi), sarebbero emersi prima dell’effettivo sequestro. Già la sera del 10 aprile la possibilità che un genovese potesse essere vittima di un rapimento in Iraq circolava nelle redazioni senza trovare conferme. Secondo Giuseppe D’Avanzo, noto giornalista di Repubblica recentemente scomparso, il rebus si spiegherebbe ipotizzando la possibilità che i quattro italiani siano stati sequestrati in momenti diversi: Quattrocchi per primo, il 10 aprile, e gli altri tre il giorno seguente, ovvero domenica 11 aprile. Le modalità di reclutamento sono state poi oggetto di ampio accertamento da parte dell’autorità giudiziaria, con l’assoluzione di tutti i protagonisti italiani coinvolti. Circa le ragioni dell’uccisione di Quattrocchi, uno dei possibili responsabili del suo sequestro, Abu Yussuf, ex informatico di origine magrebina convertitosi alla causa della Jihad dopo aver assistito ad alcuni discorsi di Osama Bin Laden, ebbe modo di dichiarare alla stampa britannica che il genovese era stato ammazzato perché aveva partecipato, da mercenario, ad alcune missioni in Paesi a forte presenza musulmana come Bosnia e Nigeria (circostanza sempre smentita dalla famiglia dell’ucciso). Desta poi curiosità la grande pigrizia con la quale la stampa italiana ha sempre trattato la vicenda Quattrocchi: l’unico documentario, ancora reperibile in rete, sull’attività dei contractors italiani in Iraq venne prodotto dalla televisione svizzera francese RTS Un. Così come sono ancora reperibili su internet i documenti che rendono note le modalità attraverso le quali venivano condotti gli arruolamenti (tutto avveniva on line su forum appositi, già nel 2004, almeno a livello di prima conoscenza e invio dei curricula); la preferenza veniva concessa a chi in passato avesse fatto parte di reparti di élite, come i lagunari del Battaglione San Marco.