Month: ottobre 2015

La strage di Acca Larentia e il mistero della mitraglietta Skorpion

Vittime di Acca Larentia

Acca Larentia, Roma, 7 gennaio 1978, sezione del Movimento Sociale Italiano, quartiere Tuscolano. Poco prima delle 18 alcuni giovani militanti si muovono verso piazza Risorgimento, dove è previsto un volantinaggio. Alle 18,30 altri cinque ragazzi si preparano ad uscire dai locali della sezione. Sono Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Vincenzo Segneri, Maurizio Lupini, Giuseppe D’Audino.

– Quando Bigonzetti apre la porta blindata, la via è poco illuminata. Un gruppo di cinque o sei giovani, tra cui forse una donna, gira l’angolo di via Evandro, avanza verso i missini e apre il fuoco. Bigonzetti non fa a tempo ad accorgersi di nulla che è già a terra: investito dal piombo, e colpito alla testa, cade davanti alla porta della sede. I sicari sparano di nuovo, questa volta contro Segneri che, ferito al braccio, fa in tempo a rientrare spingendo a terra gli altri due camerati che si trovano alla soglia del locale. Per Ciavatta, che è accanto a Bigonzetti, non c’è scampo: prova a fuggire verso una rampa di scale, ma giunto al secondo gradino viene fulminato da una scarica di proiettili.

– I killers fuggono via, forse a bordo di una Renault, forse a piedi. Lentamente la porta blindata della sezione viene riaperta. I tre superstiti tentano di soccorrere Bigonzetti, che è già morto, mentre Francesco Ciavatta rantola. Passano pochi minuti e in via Acca Larentia piombano a sirene spiegate forze dell’ordine e un’ambulanza. Gli agenti prendono a bordo Vittorio Segneri, diciotto anni, operaio in una officina metalmeccanica. Gli infermieri caricano invece Ciavatta che morirà in ospedale dopo poche ore. Il padre si suiciderà per la disperazione alcuni mesi dopo ingerendo una bottiglia di acido muriatico

– In via Acca Larentia c’è un grande concitazione. Un giornalista e un operatore televisivo tentano di ricostruire la dinamica del duplice omicidio. Uno dei due, forse distrattamente, getta un mozzicone di sigaretta sulla chiazza di sangue lasciata da Ciavatta. Qualcuno interpreta il gesto come un atto di disprezzo. Il giornalista viene insultato e malmenato, l’operatore vede la sua cinepresa gettata a terra e calpestata. Si scatena un parapiglia. Un dirigente del fronte della gioventù interviene per calmare gli animi, ma proprio in quel momento un drappello di carabinieri che staziona poco lontano comincia a lanciare lacrimogeni.

– In un contesto di grande confusione, il capitano dei carabinieri Edoardo Sivori impugna una pistola e fa per sparare, ma l’arma si inceppa. Non desiste: ne chiede un’altra a un sottoposto e apre il fuoco verso il gruppo di missini. Un giovane, colpito alla testa, crolla a terra. E’ Stefano Recchioni, diciannove anni. Morirà 48 ore dopo all’ospedale.

– Il raid viene rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale:

Un nucleo armato, dopo una accurata opera di controinformazione e controllo della fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga

– L’azione di Acca Larentia è scarsamente compresa perfino tra i militanti di Autonomia operaia. Viene ritrovato un secondo volantino che rivendica nuovamente l’eccidio:

Il fatto che questa azione sia stata fatta da una componente del movimento e non dal movimento intero, non colloca questa componente al di fuori del movimento stesso. Dal dibattito che c’è stato e che ancora continua all’interno del movimento emergono secondo noi due gravi carenze: la prima è una carenza di valutazione rispetto all’azione e a quello che rappresenta sia nel momento contingente sia all’interno di un piano di contropotere territoriale; la seconda è dato dal fatto della totale impreparazione del movimento di fronte a situazioni di antifascismo militante

Oreste Scalzone prende le distanze:

Questo non è antifascismo. E’ da condannare lo sparare alla cieca, senza progetto

Radio popolare lancia appelli alla distensione dopo un dibattito con gli ascoltatori che non capiscono il senso del duplice omicidio.

Francesca Mambro/1:

Il 77 era alle spalle e lo scontro con i comunisti sembrava ormai superato. Acca Larentia era la sezione che frequentava mio fratello: quel giorno non era andato perché aveva un appuntamento con il dentista, ma io non lo sapevo. Ero preoccupata. Appena arrivata chiedo chi fossero i caduti: mi dissero Francesco e Franco. Cominciammo a gridare slogan, e a contestare le guardie. ‘Che fate qui? Andate a cercare gli assassini’. Lanciarono qualche lacrimogeno. Uno colpisce Stefano Recchioni alla gamba: sta accanto a me, lo vedo chinarsi per vedere cosa fosse successo. Appena si rialza viene colpito e cade a terra. Io penso a un candelotto, provo a soccorrerlo, ma quando gli metto la mano sotto la testa per sollevargliela e vedo il sangue, capisco che si tratta di un proiettile

Francesca Mambro/2:

Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma ad Acca Larentia i pezzi grossi del partito dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri, allora non valeva la pena. Acca Larentia segna la rottura definitiva di molti di noi con il Msi

Un militante:

Francesca Mambro me la ricordo imbestialita. Urlava a quelli affacciati sui balconi che erano dei vigliacchi, tutti complici nella caccia al fascista. Lei fu tra coloro che decisero di reagire anche con le armi

– La mattina del 9 febbraio 1987 Pierluigi Vigna rivela che la mitraglietta Skorpion usata da una frazione delle Br l’anno prima per l’uccisione dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e dell’economista Ezio Tarantelli è la stessa che precedentemente aveva sparato contro i missini di Acca Larentia.

– C’è una pentita: è Silvia Todini, che all’epoca del raid contro i due missini aveva quindici anni. La Todini, che ha avuto ruoli marginali nella ultima generazione delle Br degli anni 80, collabora con il giudice romano Domenico Sica già dal 1983. La Todini racconta che nell’appartamento di una certa Daniela c’erano dei giovani che discutevano sulla fabbricazione di un timbro con la scritta “Nuclei Armati per il contropotere territoriale”.

– E’ sulla base delle affermazioni della Todini che il 30 aprile ’87 il giudice istruttore del tribunale di Roma, Guido Catenacci, spicca cinque ordini di cattura. I carabinieri arrestano Mario Scrocca. Per la magistratura è il “Mario” visto dalla Todini in casa di Daniela. Ventotto anni, di professione infermiere, è sposato e padre di un bambino di due anni. Nel 1978, all’epoca dell’eccidio, aveva diciannove anni e militava in Lotta continua. L’ordine di cattura parla di duplice omicidio, tentato omicidio, associazione sovversiva e partecipazione a banda armata.

– Alle 11,30 di giovedì 30 aprile 87 Mario Scrocca varca il cancello del carcere romano di Regina Coeli. Poco dopo viene interrogato dai magistrati. Ammette la sua militanza politica dell’epoca, ma nega di aver partecipato all’agguato contro i fascisti. Terminato l’interrogatorio, Scrocca viene rinchiuso in una cella di isolamento perché deve ancora rispondere ad altre domande dei magistrati. Il giorno successivo è il 1 maggio, giorno festivo. Scrocca decide di scrivere alla moglie Rossella:

Sono qui e ancora non riesco a farmene una ragione. Il tempo si è cristallizzato. L’unica cosa che riesco ad avere chiara nella mente sei tu e Tiziano. Non tollero che tu e nostro figlio siate trascinati in questa storia di merda. Finalmente riesco a piangere, vorrei urlare, ma questa soddisfazione non gliela voglio dare. Tenerezza, tenerezza, tenerezza, Voglia di tenerezza è il titolo di un film che non ho neanche visto, ma racchiude tutto quello che penso quando mi scopro a pensare il tuo bellissimo viso. Quello che manca è la materialità della quotidiana bellezza di toccarti, di coricarmi con te. Qui se va male non si tratta di fare qualche mese, qui se il giudice decide che le accuse contro di me sono vere sto nella merda per sempre. Mi sono fumato anche l’ultima sigaretta e poi ho deciso che non ho né la forza né la volontà di aspettare che questa storia si chiarisca

– Scrocca si impiccherà poco dopo all’interno della sua cella.

– 8 settembre 1988: dopo un blitz dei carabinieri contro i militanti delle Br-Pcc, si conosce l’identità della ragazza citata dalla Todini. E’ Daniela Dolce, 36 anni, nata a Colleferro, che sfugge alla cattura. Contro di lei il giudice titolare della inchiesta sulla strage di Acca Larentia ha spiccato un mandato di cattura per banda armata, associazione sovversiva e duplice omicidio: Ciavatta e Bigonzetti. Questa ultima accusa cadrà alla fine della istruttoria. Daniela Dolce scapperà comunque in Nicaragua.

– L’arma utilizzata nell’agguato, una mitraglietta Skorpion, viene rinvenuta nel 1988 in un covo delle Brigate rosse in via Dogali, a Milano. La vicenda relativa ad Acca Larentia si conclude formalmente l’11 luglio 1990, quando la corte di assise di Roma assolve tre uomini e una donna (tra cui appunto Daniela Dolce) ritenuti esponenti dei “Nuclei armati per il contropotere territoriale”.

– Nel 2012, a seguito di una interpellanza parlamentate, viene ricostruita la provenienza iniziale dell’arma che è stata originariamente acquistata, nel 1971, dal cantante Jimmy Fontata e da questi rivenduta, nel ’77, a un ispettore di polizia: rimane tuttora ignoto il modo in cui l’arma sia giunta nella mani dei terroristi.

– Scrive il prefetto Carlo De Stefano, in risposta all’interrogazione parlamentare: 

Le indagini relative alla tracciabilità della Skorpion permisero di stabilire che nel febbraio del 71 l’arma era stata regolarmente acquistata presso una armeria di Sanremo da Enrico Sbriccoli, cantante noto al pubblico con il nome d’arte di Jimmy Fontana, il quale ne aveva denunciato l’acquisto presso la stazione dei Carabinieri di Formello. Nel ’79 il cantante venne escusso dalla Digos della Questura di Roma e riferì di avere venduto nel ’77 la sua Skorpion al funzionario di polizia dr. Antonio Cetroli che in quel periodo era il dirigente del commissariato di pubblica sicurezza Tuscolano a Roma. Secondo lo Sbriccoli la compravendita sarebbe avvenuta presso la armeria Bonvicini, di Roma, alla presenza della moglie del titolare. Sulla questione, sempre nel ’79, venne escussa la signora Ciani in Bonvicini che pur asserendo di conoscere il Cetroli e lo Sbriccoli entrambi suoi clienti non confermò i particolari riferiti agli inquirenti dal cantante. Le versioni dei protagonisti della vicenda non sono mai state concordanti, poiché il funzionario di polizia ha sempre escluso di avere acquistato armi. Il funzionario di polizia è deceduto a Roma il 30 giugno 2005. Gli autori materiali dell’eccidio di Acca Larentia non sono mai stati individuati. E’ verosimile che l’arma utilizzata per l’attentato sia confluita nell’arsenale delle Br attraverso la successiva adesione alla formazione eversiva di uno o più soggetti che la detenevano Fonte: Ugo Maria Tassinari

-I colpevoli dell’agguato sono quindi rimasti sempre ignoti e liberi. Anche il capitano dei carabinieri Eduardo Sivori non ha subìto alcuna conseguenza né giudiziaria né disciplinare.

– Da un interrogatorio del pentito Maurizio Lombino, reso nel carcere di Brescia il 22/5/1980:

I nuclei armati territoriali non erano una organizzazione fissa, raccoglievano istanze di lotta sociale genericamente intesa. Cioè non esisteva un apparato centralizzato e compartimentato, vigeva il fenomeno dello spontaneismo e fra i temi trattati collettivamente alcuni potevano autonomamente decidere di compiere azioni che poi rivendicavano sotto la sigla dei Nuclei

– Il 25 marzo 1978, a Trento, in una cabina telefonica viene rivenuto un volantino con cui i sedicenti “Nuclei armati per il contropotere territoriale”, sezione autonoma Trentino-Alto Adige, esaltano l’azione di via Fani. Comando generale dell’Arma e Sisde vengono informati.

– Numerose azioni rivendicate dai “Nuclei armati per il contropotere territoriale” sono state registrate nei primi mesi del 1979 nella città di Bergamo.  In precedenza, la stessa sigla, aveva fatto brillare un ordigno esplosivo sul terrazzo della sede di Bergamo del Msi (rivendicazione del 7/10/1978 ore 1,35)

– Sulla possibile contiguità tra “Nuclei armati per il contropotere territoriale” e Brigate rosse, in ordine a un sospettato, il Ministero dell’Interno scriveva:

F.M.G.F., nato a Milano il 17.8.1953, già ivi residente in via Cimabue 5, dal marzo 1981 risulta emigrato per l’Arabia Saudita. E’ coniugato con F.P., laureata in filosofia. La sua famiglia di origine è composta dal padre F.A., geometra, e dalla madre R. A., casalinga. Il fratello R. è deceduto all’età di anni 26 a Nairobi. Ex studente, già iscritto al 4 liceo scientifico. Militante dei gruppi della sinistra dissidente passa in Autonomia Operaia, aderendo alle frange più oltranziste della organizzazione. Passato poi nel partito armato ha militato, con funzioni organizzative, in varie bande armate operanti con diverse sigle: “Nuclei Combattenti per il comunismo”, “Nuclei armati per il contropotere territoriale”, “Gruppi di fuoco”, “Movimento comnunista rivoluzionario”, “Co.Co.Ri.” (Comitato comunista rivoluzionario). Infine, con un ruolo di rilievo, passa nella organizzazione terroristica denominata Brigate rosse. Da indagini svolte, anche in base alle dichiarazioni rese da terroristi pentiti, è emerso che il F., nel 1978, come appartenente alla organizzazione eversiva CO.CO.RI. allora capeggiata dal noto Oreste Scalzone, si recò in Libano, con una imbarcazione da diporto da lui stesso condotta, e dopo avere acquistato una ingente quantità di armi e munizioni le trasportò clandestinamente in Italia con lo stesso mezzo. Tali armi una volta giunte in Italia furono distribuite a varie organizzazioni terroristiche. Risulta colpito dai seguenti provvedimenti restrittivi: – Mandato di cattura n.54/80 ARGI, emesso il 18.6.81 dal GI del tribunale di Roma per detenzione di armi ed esplosivo per scopi terroristici, introduzione di armi ed esplosivi nel territorio dello Stato – Mandato di cattura n 59/80 ARGI emesso il 20.6.81 dall’Ufficio Istruzione del tribunale di Roma per aver costituito e diretto una associazione variamente denominata diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti dello Stato mediante: 1) la perpetrazione di attentati alle persone 2) l’importazione dal Libano di ingenti quantitativi di armi 3) la consumazione di rapine 4) il coordinamento con altri gruppi terroristici ideologicamente affini 5) la costituzione di una banda armata organizzata per la consumazione di attentati. Il F. è’ latitante

Testi consigliati 

  • Anni di piombo (Provvisionato, Baldoni) Sperling & Kupfer
  • Cuori rossi contro cuori neri (Sidoni, Zanetov) Newton Compton

Da “guerriero senza sonno” a “infame”. Era Walter Sordi

Walter_Sordi– Walter Sordi nasce a Roma, il 23 settembre 1961. Ancora giovanissimo milita in Terza Posizione frequentando anche la sede FUAN di via Siena, quartiere Nomentano.

– E’ parte attiva di un gruppo in cui i punti di riferimento sono Luigi Ciavardini, Giorgio Vale, Stefano Soderini, Pasquale Belsito e altri. Cominciano tutti in Terza Posizione, per poi passare, nel 1979, alla lotta armata nei Nar.

– Dedito a rapine e all’uso della violenza, il gruppo si caratterizza per i solidi rapporti di amicizia tra i componenti più in vista. Emerge una certa tendenza alla goliardia. Il Sordi dei primi tempi viene descritto, da chi lo conosceva, come un tipo tutto d’un pezzo, privo di capacità di analisi. Un manicheo, come molti altri diciottenni degli anni di piombo.

– Nella primavera del 1980 alcuni pubblici ministeri romani firmano una requisitoria nel processo contro TP nella quale si chiede al giudice istruttore il rinvio a giudizio per i reati di banda armata e associazione sovversiva; viene chiesta anche l’emissione del mandato di cattura per dozzine di giovani simpatizzanti di destra, tra cui molti minorenni. Più di cento famiglie vivono nell’ansia. Dopo la strage di Bologna, l’attesa diventa insostenibile. Nell’estate del 1980 circa trenta giovani si danno alla latitanza precauzionale. Tra loro ci sono Alibrandi, Belsito, Ciavardini, Soderini, Sordi. Proprio Sordi, assieme ai camerati Alibrandi e Belsito, decide di arruolarsi nei campi di addestramento militare della Falange Maronita libanese: praticamente la milizia cristiana alleata di Israele nella lotta contro i palestinesi. In particolare Alibrandi pare essere affascinato dalle capacità militari degli israeliani (incaricati di addestrare le milizie cristiano-maronite).

– Nella metà del 1981, Sordi, appena rientrato in Italia, aderisce allo spontaneismo armato dei Nar. Nell’ottobre del 1981, a Milano, Alibrandi, Sordi e Cavallini vanno a Milano. L’obiettivo è Giorgio Muggiani, neofascista milanese, che nel dopoguerra, assieme a Domenico Leccisi, aveva trafugato la salma di Mussolini. L’accusa è quella di aver venduto Cavallini alla polizia nell’ambito delle indagini per l’uccisione dello studente di sinistra Gaetano Amoroso (assassinato nel 1976 per vendicare Sergio Ramelli, studente di destra, massacrato l’anno prima). Sulla strada che porta a Muggiani, i tre vengono intercettati da una volante della DIGOS che intima l’alt. Alibrandi, al volante, forza il posto di blocco: scatta l’inseguimento. Lo stesso Alibrandi, dopo un tratto di strada, frena di colpo, scende, e spara all’impazzata. Colpisce Carlo Buonantuono, l’agente alla guida, ferendolo gravemente e quello che gli è seduto affianco, Vincenzo Tumminello, ammazzandolo sul colpo. Infine si lancia all’inseguimento del terzo agente, Franco Epifanio, vent’anni, che ferito si è rifugiato nell’androne di un portone; Alibrandi finisce per desistere mentre Sordi avvicinatosi all’auto dei poliziotti prima di rubare le armi ammazza con un colpo alla testa l’agente Buonantuono. E’ il primo omicidio di Sordi.

– Pochi giorni più tardi, Sordi partecipa all’esecuzione del capitano della Digos Francesco Straullu: ventisei anni, originario della Sardegna, si è rivelato brillante nella caccia ai fascisti. Straullu è particolarmente malvisto dai neri, che lo ritengono responsabile di violenze sui prigionieri e abusi sessuali sulle donne. L’attentato contro Straullu scatta la mattina del 21 ottobre 1981. Quel giorno il capitano Digos non si serve della solita Alfetta blindata, ma adopera una normale Ritmo. L’auto dell’ufficiale, guidata dall’agente scelto Ciriaco Di Roma, viene intercettata in via del Ponte Ladrone, in prossimità di un sottopassaggio, laddove è costretta a rallentare. Il commando NAR  è equipaggiato con armi moderne: è previsto anche che qualcuno si apposti sul cavalcavia in modo da sparare dall’alto, perché il tetto è il punto più vulnerabile delle auto blindate. Quando i terroristi si trovano davanti una normale Fiat e non la prevista Alfetta blindata l’agguato si tramuta in mattanza. Walter Sordi si piazza in mezzo alla strada e apre il fuoco con un Heckler & Koch G3 cal 7,62 (fucile d’assalto con una capacità di fuoco impressionante). Alibrandi lascia partire un’altra scarica con il suo Garand, mentre Soderini e Cavallini mitragliano ai lati. L’auto con Straullu sbanda paurosamente e si schianta contro un muro. Alla Mambro viene impedito di avvicinarsi ai corpi per l’usuale sottrazione delle armi. Cavallini rinuncia al macabro rituale della lancia da conficcare nel petto del nemico. Il commando, dopo aver compiuto il fatto, si allontana a bordo di una Alfasud rossa e di una Ritmo di colore grigio, entrambe rubate. In sede di sopralluogo vengono rivenuti numerosi bossoli di vario tipo, tra cui alcuni di calibro 7,62 Nato per fucile modello “Fal” del tipo blindato. Strullu verrà riconosciuto soltanto grazie ai documenti.

– Il 5 dicembre del 1981 i reduci dei campi di addestramenti libanesi, Belsito, Sordi, e Alibrandi, si fermano per comprare dei mandarini presso un chiosco di frutta della borgata Labaro, sulla via Flaminia. Transita una volante: a bordo ci sono Ciro Capobianco, Luigi D’errico e Salvatore Barbuto. L’auto inverte la marcia e avanza a filo di gas, rasentando i giovani. Alibrandi si accorge della manovra, getta per terra le bucce del mandarino, e impugna la pistola iniziando a sparare. Capobianco si accascia lungo il sedile, mentre D’Errico si precipita fuori dalla volante per ripararsi dietro un muretto e rispondere al fuoco. Dopo un attimo di sorpresa, anche le pistole di Sordi e Belsito cominciano a crepitare. Sordi viene preso a una mano, Barbuto centra alla nuca Alibrandi (successivamente Massimo Carminati, intercettato dai Ros, rivelerà che Alibrandi era stato vittima del “fuoco amico”). Alibrandi non si vede più: è caduto tra le macchine in sosta, svanito alla vista degli altri. Sordi salta nella volante seguito dagli altri due e parte sgommando verso la Flaminia. A bordo, in fin di vita, c’è ancora l’agente Capobianco. Spira due giorni dopo senza avere più ripreso conoscenza, mentre Alibrandi muore praticamente sul colpo. La madre di Capobianco perderà l’uso della parola per mesi.

– Sordi costituisce una sua banda personale tra Vigna Clara e l’Eur chiamata Walter’s Boys; formata da giovani fedelissimi fiancheggiatori e aspiranti eversivi, studenti che vivono in ambienti borghesi e offrono nascondigli. All’occorrenza vengono premiati con la partecipazione sul campo a qualche azione. I fedelissimi di Sordi considerano il loro capo un semidio. Le sue farneticazioni, la posa da soldato politico e “guerriero senza sonno”, affascinano i ragazzi.

– Il 5 marzo 1982, un commando NAR (del quale fanno parte, tra gli altri, Sordi, Francesca Mambro, Giorgio Vale) rapina la Banca Nazionale del Lavoro di Piazza Irnerio a Roma. Nel darsi alla fuga trovano le forze dell’ordine con cui ingaggiano un violento conflitto a fuoco in cui muore Alessandro Caravillani, studente di 17 anni, che passava di lì per caso. Francesca Mambro è ferita gravemente e trasportata nel pronto soccorso dell’ospedale San Filippo Neri dove verrà poi arrestata.

– Il 24 maggio del 1982 Sordi e Cavallini attaccano gli agenti di guardia alla sede dell’Olp per disarmarli. Sordi e Cavallini arrivano in Vespone sparando contro i poliziotti Pillon e Galluzzo. Il primo è ferito, il secondo muore. Dalle finestre della sede diplomatica palestinese iniziano a sparare anche gli arabi della scorta. Pochi mesi dopo, il 18 settembre, Sordi finisce in catene a opera dei carabinieri che lo catturano in un villino di Lavinio. Ha ventuno anni. Nel primo pomeriggio giungono telefonate anonime ad alcuni quotidiani nelle quali gli amici dello stesso Sordi, probabilmente per evitare trattamenti “impropri” da parte della polizia, danno notizia dell’arresto.

– Subito dopo l’arresto decide di collaborare con la magistratura e comincia a raccontare particolari inediti sull’eversione di destra. Arrivano i benefici di legge e dopo circa un anno e mezzo di carcere viene ammesso agli arresti domiciliari protetti, presso la caserma dei carabinieri di Forlimpopoli, prima di essere trasferito in una località segreta. E’ tuttora sottoposto a un programma di protezione e vive in località segreta.

– La pubblicazione della legge sui pentiti è molto attesa. Non solo dai possibili beneficiari, ma anche dai magistrati. Nella legge 29 maggio 1982, n. 304 sono previste quattro ipotesi di pentimento: una per i fiancheggiatori, una per i dissociati, una per i pentiti veri e una per i cosiddetti i “superpentiti” la cui collaborazione è considerata di eccezionale rilevanza. Le pene, per quest’ultimo caso, sono ridotte fino a un terzo: invece dell’ergastolo, pene da sei a otto anni. E’ prevista anche la libertà provvisoria. Dissociati, pentiti e superpentiti possono usufruire della sospensione condizionale della pena (se condannati a meno di quattro anni di reclusione) e della liberazione condizionale (se dimostrano un sicuro ravvedimento).

– Un impulso decisivo alle indagini di polizia, alla scoperta di nuovi covi Nar a Roma, viene fornito proprio da Sordi che decide di collaborare con gli inquirenti subito dopo la cattura. L’inchiesta giudiziaria sui Nar ricostruisce proprio grazie a lui e ad altri pentiti una lunga serie di delitti, attentati e rapine, avvenuti tra il dicembre del 1981 e l’inizio del 1984.

– Il 17 ottobre del 1982, interrogato dal giudice Imposimato, dichiara: “Conosco Giusva Fioravanti da alcuni anni. Egli mi fu presentato da alcuni camerati dell’Eur, quartiere che io frequentavo abitualmente abitando nel Prati. Il Giusva ha militato prima nel MSI a Monteverde insieme ad Alessandro Alibrandi e Cristiano Fioravanti, suo fratello. Dopo alcuni anni di politica legale, costellata di alcuni scontri con i compagni, Valerio ha cominciato a fare politica extraparlamentare, costituendo un piccolo gruppo armato, formato da lui stesso, Alibrandi, Stefano Tiraboschi, e al fratello Cristiano. Essi cominciarono a praticare la lotta armata tramite rapine, e attentati alle persone. Il gruppo capeggiato da Giusva agiva anche in collaborazione occasionale con elementi del FUAN e con un gruppo di fascisti dell’EUR composto da Carminati Massimo, i fratelli Stefano e Claudio Bracci, e Franco Anselmi. Il primo delitto di rilievo fu l’uccisione, se non erro nel 1978, del compagno Scialabba. All’azione parteciparono i due Fioravanti, Alibrandi, Mario Pedretti, Franco Anselmi, Francesco Bianco e altri due che non ricordo. Nell’omicidio Scialabba furono usate una pistola cal 22 e 38 di Valerio. Un delitto molto importante compiuto dal gruppo di Fioravanti fu la rapina all’armeria di via Nattuzzi, nella quale morì Franco Ansalmi. Il fatto fu compiuto il 6 marzo del 1978 da Alibrandi, i fratelli Fioravanti, Franco Anselmi e Francesco Bianco. Ci furono anche altri complici con funzioni di copertura. A partire da quel momento il gruppo assunse, su proposta di Tiraboschi, la denominazione di Nar”.

Da un interrogatorio di Walter Sordi ai giudici Imposimato e Sica, del 15 ottobre 1982: “Parlando in particolare degli investimenti di somme di denaro da noi fatte attraverso la banda Giuseppucci-Abbruciati, posso dire che nel 1980 Alibrandi affidò alla banda stessa 20 milioni di dire, Bracci Claudio 10 milioni, Carminati Massimo 20 milioni, Stefano Bracci e Tiraboschi 5 milioni. Ricordo che Alibrandi percepiva un milione al mese di rendita. Mi fu spiegato che gli investimenti dovevano avvenire per un periodo non inferiore a sei mesi e che gli interessi corrispondenti erano del 5-6 % mensili. Era Bracci Stefano che si preoccupava di consegnare il denaro per conto di tutti alla banda Giuseppucci-Abbruciati, ricevendone la rendita mensile. Tutto era fondato sulla fiducia. Io ho affidato al Bracci Stefano lire 65 milioni, provenienti da rapine in banche, in più riprese. […] I soldi affidati alla banda Giuseppucci-Abbruciati erano tutti in contanti. Come ho già spiegato, Giuseppucci e Abbruciati prevalentemente investivano il denaro da noi ricevuto nel traffico della cocaina e nell’usura, ma c’erano anche altri investimenti nelle pietre preziose e nel gioco d’azzardo. Ricordo che un giorno, mentre io ero a Beirut insieme ad Alibrandi, ricevetti una telefonata da Carminati il quale chiese se vi era possibilità di piazzare pietre preziose di provenienza illecita. Dalla ricettazione di gioielli provenienti da rapine si interessavano uomini collegati alla banda Giuseppucci-Abbruciati”

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