Televisione.

Storie all’ombra del Muro: Jutta Gallus

army.mil-103747-2011-03-31-060302– Jutta Gallus, perito informatico di Dresda, cresciuta con la madre perché il padre è scappato all’Ovest abbandonando la famiglia nella Ddr, presenta nel 1974 domanda di espatrio assieme al marito.

– Nel 1961, la Sed (il partito socialista unificato della Ddr), aveva proceduto alla chiusura delle frontiere con la Rft e alla edificazione del Muro di Berlino; l’art.10 della Costituzione, che garantiva libertà di espatrio, fu abrogato e l’espatrio, ribattezzato “fuga dalla Repubblica”, inserito nel codice penale tra i delitti contro lo Stato. Formalmente, però, espatriare non era vietato in maniera assoluta, dato che occorreva inoltrare apposita domanda presso il ministero degli esteri che di rado (tranne nel caso di pensionati) la accoglieva. L’inoltro della domanda di espatrio era assai rischiosa perché propedeutica all’iscrizione negli elenchi dei sospetti della Stasi.

– La domanda di Gallus non viene accolta. Il marito si dissocia per timore di ritorsioni.

– Nel 1977 Gallus viene licenziata dal lavoro ed emarginata, ma successivamente le viene offerto un nuovo posto; evidente la regia della Stasi.

– Alla morte della madre nel 1982, Gallus, ormai divorziata, decide di contattare una organizzazione che per la somma ragguardevole di 100 mila marchi, metà da versare subito, le propone una fuga in auto attraverso la Romania e la Jugoslavia.

– A Severin, nel sud della Romania, Gallus deve ritirare in albergo passaporti falsi per passare il confine jugoslavo, ma subisce il 1678324propertyimagedatyc8furto di tutti i documenti e i soldi che ha con sé. La polizia rumena le consiglia di rivolgersi alle autorità consolari della Germania Est, a Bucarest.

– Gallus non raggiungerà mai la Jugoslavia, perché viene arrestata all’aeroporto di Bucarest e imprigionata per sette giorni con le figlie. Una delle due, Claudia, è conosciuta per il ruolo in una popolare serie televisiva della Ddr. A seguito del rientro in patria le ragazzine vengono separate dalla madre e spedite in riformatorio. Gallus viene interrogata dalla Stasi per settimane.

– Gallus viene condannata a tre anni di reclusione per tentata fuga dalla Ddr.

– Nel 1984 finisce a Karl-Marx-Stadt, dove sono detenuti i prigionieri in attesa di espatrio; una volta scontata la pena lascia la Ddr senza le figlie e si stabilisce in Germania Ovest, da dove ingaggia subito una dura lotta col governo di Honecker per ottenere il ricongiungimento; la donna si rivolge ai ministeri competenti della Germania Federale e a varie organizzazioni non governative per la tutela dei diritti umani. Con azioni di protesta presso le maggiori capitali europee, interviste e scioperi della fame, Gallus riesce a sensibilizzare l’opinione pubblica e a fare della sua lotta un caso internazionale. L’immagine ricorrente è quella della sua protesta, per giorni, anche sotto la pioggia, di fronte al checkpoint Charlie. Il governo della Ddr cederà alle pressioni soltanto nell’estate del 1988 quando, con un provvedimento senza precedenti, verrà restituito alla donna l’affidamento legale delle figlie. Gallus potrà riabbracciare le sue ragazze a Berlino Ovest il 28 agosto 1988, a sei anni dal fallito tentativo di fuga.

– Sulla vicenda di Jutta Gallus, è stato prodotto un film per la televisione andato in onda in Germania nel 2007, dal titolo “Die Frau von Checkpoint Charlie” che ha ottenuto un buon successo di pubblico, contrariamente alla tendenza a ignorare il passato comunista dei Lander dell’est.

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Le Brigate Rosse sequestrano il Sostituto Procuratore Mario Sossi

!B)oWoJwEWk~$(KGrHqJ,!hQEw5Gw4!ezBMOYyoOQ8w~~_35Mario Sossi nasce a Imperia il 6 febbraio 1932. Magistrato, Pubblico Ministero nel processo al Gruppo XXII Ottobre, fu sequestrato dalle Brigate Rosse a Genova il 18 aprile 1974 e rilasciato a Milano il 23 maggio 1974.

Chiamato alle armi nel 1953, presta servizio nel corpo militare degli alpini a cui resterà sempre legatissimo. Durante l’università milita nella FUAN, un’associazione studentesca missina. Entra in magistratura nel 1957 e si associa all’UMI, l’associazione dei magistrati politicamente più a destra, da cui comunque si dissocerà in seguito per il mancato dell’associazione durante il suo sequestro. Divenne famoso per l’arresto di alcuni edicolanti che avevano esposto al pubblico riviste pornografiche.

Al momento del rapimento ad opera delle Brigate Rosse sosteneva l’accusa contro gruppi terroristici. Le Br lo sequestrarono la sera del 18 aprile 1974, al suo rientro a casa in Via Forte San Giuliano a Genova, appena sceso dall’autobus della linea 42. Sossi fu caricato su un’Autobianchi A112 guidata da Alberto Franceschini, seguito da Mara Cagol su una Fiat 128. Superato un posto di blocco, per un equivoco, Franceschini sparò una raffica di mitra contro l’auto guidata da Mara Cagol, che rimase illesa. Sossi fu sottoposto ad interrogatorio da Alberto Franceschini, coadiuvato da Pietro Bertolazzi.

Il rapimento fu gestito dallo stesso Franceschini, Mara Cagol e Piero Bertolazzi; Sossi fu sottoposto ad un processo proletario, al termine del quale i brigatisti chiesero per la sua liberazione, come contropartita, la liberazione dei terroristi del Gruppo XXII Ottobre e il loro trasporto in un paese amico.

Sossi venne liberato a Milano il 23 maggio 1974; non cercò di avvisare nessuno, tornò solitario a Genova in treno e infine si presentò alla Guardia di Finanza (e non presso le altre armi, pensando di poter essere oggetto di trattamenti “incongrui”).

Il rapimento di Mario Sossi costituì uno dei primi salti di qualità nell’azione di lotta delle Brigate Rosse, ben diverso dal solito “mordi e fuggi” per il quale erano ormai note.

A liberazione avvenuta il procuratore della Repubblica di Genova Francesco Coco verrà assassinato a Genova dalle Br l’8 giugno 1976, insieme a due uomini della scorta, come “rappresaglia” perché si era rifiutato di acconsentire alla scarcerazione di alcuni terroristi in cambio di Sossi.

Sulle vicende di quel rapimento lo stesso Mario Sossi scrisse un libro intitolato Nella prigione delle BR.

Il tentato golpe Borghese.

GolpeBorgheseCon golpe Borghese (citato anche come golpe dei forestali o golpe dell’Immacolata) si indica un colpo di Stato tentato in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) e organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale.

Borghese, noto anche con il soprannome di Principe Nero, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della X Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943 e dopo l’8 settembre 1943 con il proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana. Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti.

« Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le Forze Armate, le Forze dell’Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della Nazione sono con noi; mentre, dall’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intendersi, che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo Stato che insieme creeremo, sarà un’Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera: il nostro glorioso Tricolore! Soldati di Terra, di Mare e dell’Aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali; vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d’amore: Italia! Italia! Viva l’Italia!»  [Proclama ufficiale alla nazione, che Borghese stesso avrebbe letto dagli studi RAI occupati.]

Riproponiamo la puntata de La Notte della Repubblica dedicata al Golpe dell’Immacolata e all’universo dell’eversione nera.

Enrico Fenzi, l’intellettuale delle Brigate Rosse.

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Enrico Fenzi, uno dei pochi veri intellettuali delle Brigate rosse, esercitò la professione di docente di Letteratura italiana presso l’Università di Genova. Dal 1979 aderì alle Br, colonna genovese, entrando in contatto prima con Rocco Micaletto e poi con Luca Nicolotti. Prese parte, con un ruolo di copertura, insieme ad altri tre brigatisti, Nicolotti, Francesco Lo Bianco e Livio Baistrocchi, al ferimento del dirigente dell’Ansaldo e membro del PCI Carlo Castellano.

Arrestato una prima volta a Genova il 17 maggio 1979, fu assolto nel 1980 per insufficienza di prove. Fu nuovamente arrestato a Milano il 4 aprile 1981, assieme ai brigatisti Tiziana Volpi, Silvano Fadda e Mario Moretti. Durante la sua prima detenzione ebbe modo di entrare in contatto con i più importanti esponenti del così detto “nucleo storico” delle Brigate Rosse, ed in particolar modo con Renato Curcio e Alberto Franceschini.

È autore di Armi e bagagli – Un diario dalle Brigate Rosse, considerato, per il valore della scrittura, la biografia sull’argomento di maggior valore letterario. Enrico Fenzi è stato spesso indicato come l’unico intellettuale passato alle Brigate Rosse, insieme al cognato Giovanni Senzani.

Nel 1995 ha partecipato al documentario di Marco Bellocchio Sogni infranti.

Dissociatosi dalla lotta armata già nel 1982, è stato in libertà provvisoria dal 1985 fino al 1994.

Nuovamente impegnato negli studi di filologia e letteratura italiana con diverse pubblicazioni, è uno stimato studioso a livello internazionale di Dante e Petrarca. Tale attività di studioso, tuttavia, è stata talvolta limitata, in conseguenza di polemiche riferite al passato legame con le Brigate Rosse.

Riproponiamo la lunga intervista concessa da Fenzi a Sergio Zavoli, andata in onda durante la trasmissione La notte della Repubblica.

La lunga notte della Repubblica secondo Giulio Andreotti.

ImmagineGiulio Andreotti (Roma, 14 gennaio 1919Roma, 6 maggio 2013) è stato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana ed un protagonista assoluto della vita politica italiana nei 50 anni successivi alla caduta del Fascismo.

Senatore a vita dal 1991, ha ricoperto più volte numerosi incarichi di governo:

È sempre stato presente dal 1945 in poi nelle assemblee legislative italiane: dalla Consulta Nazionale all’Assemblea costituente, e poi nel Parlamento italiano dal 1948, come deputato fino al 1991 e successivamente come senatore a vita.

Il 2 maggio 2003 è stato giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d’Appello di Palermo, la quale lo ha assolto per i fatti successivi al 1980 e ha dichiarato il non luogo a procedere per i fatti anteriori. Era stato assolto in primo grado, il 23 ottobre 1999. Nell’ultimo grado di giudizio, la II sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di appello, richiamando il concetto di “concreta collaborazione” con esponenti di spicco di Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, presente nel dispositivo di appello. Il reato “ravvisabile” non era però più perseguibile per sopravvenuta prescrizione e quindi si è dichiarato il “non luogo a procedere” nei confronti di Andreotti.

Riproponiamo la lunga intervista concessa da Giulio Andreotti a Sergio Zavoli, andata in onda l’11 aprile 1990 durante la trasmissione La Notte della Repubblica.

L’omicidio di Aldo Moro e gli ultimi giorni di vita di Papa Paolo VI.

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Appello di Papa Paolo VI alle Brigate Rosse

Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla società, alla sua famiglia, alla vita civile, l’on. Aldo Moro.

Io non vi conosco e non ho modo di aver alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciato contro di lui, Uomo buono ed onesto che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile.

Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi e, a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo.

Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi ignoti e implacabili avversari di quest’ uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l’ on. Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare aver forza nella vostra coscienza, d’ un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore .

Già troppe vittime dobbiamo piangere e deprecare per la morte di persone impegnate nel compimento di un proprio dovere. Tutti noi dobbiamo aver timore dell’ odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione.

E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa.

Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità.

Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova.

Paulus PP. VI

La Notte della Repubblica – Mario Moretti

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Mario Moretti è nato a Porto San Giorgio, nelle Marche. Il padre è commerciante di bestiame, la madre maestra di musica. Diplomatosi perito industriale, all’inizio del 1968 è a Milano in cerca di lavoro. Ha in tasca due lettere di raccomandazione: una del rettore del Convitto di Fermo, Ottorino Prosperi, per un posto all’Università Cattolica, l’altra della marchesa Anna Casati Stampa di Concino, per un impiego alla Sit-Siemens. Lo assumono in fabbrica. Qui diventa subito amico di Corrado Alunni, Giorgio Semeria e Paola Besuschio. Con loro entra a  far parte del Collettivo Politico Metropolitano di Renato Curcio e Margherita Cagol.

Il 29 settembre 1969, in una comune di piazza Stuparich, si sposa con Amelia Cochetti, maestra d’asilo. Avranno un figlio, Marcello Massimo.

La scelta della clandestinità arriva, per Moretti, tra l’estate e l’autunno del 1970, quando con un gruppetto di compagni della Sit-Siemens e del collettivo da vita a quello che  sarà il nucleo storico delle Brigate rosse. E’ un teorico ed elabora i primi documenti brigatisti, ma è anche tra i primi a prendere le  armi e ad entrare in azione.

Il 30 Giugno 1971, a Pergine di Valsugana, partecipa con Renato Curcio a una rapina per autofinanziamento. E’ la sua prima azione. Dopo l’arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini, e poi di Roberto Ognibene e Prospero Gallinari, diventerà il capo più autorevole delle Br, fino a gestire il sequestro, la prigionia e la morte di Moro e a concludere con la tragedia la fase culminante della sua attività operativa. [Fonte]

La Notte della Repubblica, Sergio Zavoli intervista Mario Moretti.

16 Marzo 1978. La strage di via Fani.

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L’ agguato di via Fani (o strage di via Fani) fu un sanguinoso attacco terroristico compiuto da militanti delle Brigate Rosse il mattino del 16 marzo 1978 in via Mario Fani a Roma, per uccidere i componenti della scorta di Aldo Moro e sequestrare l’importante esponente politico della Democrazia Cristiana. Questo tragico fatto di sangue degli anni di piombo, portato a termine con successo dai brigatisti rossi, fu il primo atto del drammatico rapimento dell’esponente politico che si concluse dopo 55 giorni con il ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Michelangelo Caetani.

Le modalità precise dell’agguato (denominato in codice all’interno delle Brigate Rosse Operazione Fritz), i dettagli operativi, le circostanze precedenti e successive all’attacco, le responsabilità, i componenti del gruppo di fuoco terroristico, l’eventuale presenza di altre componenti estranee alle Brigate Rosse o di connivenze e aiuti esterni, sono tutti aspetti della vicenda aspramente dibattuti in sede processuale, parlamentare e pubblicistica, e rimangono oggetto di discussioni e dubbi.

Ricordiamo i cinque agenti della scorta periti in quella tragica mattina di 35 anni fa.

Domenico Ricci

Nasce a San Paolo di Jesi, in provincia di Ancona, nel 1934. Abile motociclista, entra a far parte della scorta di Moro alla fine degli anni Cinquanta. Diviene il suo autista di fiducia e non lo lascia fino alla morte. Il 16 marzo 1978 si trova al posto di guida della Fiat 130 su cui viaggiava il Presidente della DC.

Oreste Leonardi

Oreste Leonardi nasce nel 1926 a Torino. Mentre frequenta il II ginnasio, Oreste rimane orfano del padre che muore durante la seconda guerra mondiale. Da quel momento decide di terminare gli studi e di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri. Dopo aver lavorato in diverse sedi, viene inviato a Viterbo. Lì diviene istruttore alla Scuola Sabotatori del Centro Militare di Paracadutismo e nel 1963 viene chiamato come guardia del corpo dell’On. Aldo Moro. Il maresciallo Leonardi era l’ombra di Moro, la sua guardia del corpo più fedele: quel 16 marzo del 1978, trovandosi nel sedile anteriore della macchina del Presidente, vicino al posto di guida, è proprio lui a compiere un tentativo estremo per proteggere Moro con il proprio corpo.

Francesco Zizzi

Francesco Zizzi, nasce a Fasano, in provincia di Brindisi, nel 1948. Entrato nella Pubblica Sicurezza nel 1972, quattro anni dopo vince il concorso per la scuola allievi sottufficiali di Nettuno. Il 16 marzo del 1978 è il suo primo giorno al servizio della scorta di Moro. Si trova nell’alfetta che precede la macchina dell’Onorevole, seduto al posto del passeggero.
Muore a trent’anni come vice brigadiere di polizia, durante il trasporto all’ospedale Gemelli di Roma.

Giulio Rivera

Giulio Rivera, nasce nel 1954 a Guglionesi, in provincia di Campobasso. Nel 1974 si arruola nella Pubblica Sicurezza e viene chiamato al servizio della scorta di Aldo Moro. Il 16 marzo si trova alla guida dell’Alfetta che precede la macchina del Presidente. Muore a 24 anni all’istante, crivellato da otto pallottole.

Raffaele Iozzino

Raffaele Iozzino nasce in provincia di Napoli, a Casola, nel 1953. Nel 1971 si arruola nella Pubblica Sicurezza, frequenta la scuola di Alessandria e viene successivamente aggregato al Viminale e quindi alla scorta dell’On. Moro. Il 16 marzo del 1978 si trova nel sedile posteriore dell’Alfetta che precede la macchina del Presidente. Muore come agente di polizia a solo 25 anni.

Il Caimano morde ancora.

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Un Berlusconi sempre più in forma rappresenta una delle poche note di interesse di una campagna elettorale fin qui piuttosto anonima. In un contesto nel quale tutti sono più o meno d’accordo il Cavaliere è davvero l’unico capace di andare in una tv come La 7 e fare, nel vero senso della parola, 9 milioni di telespettatori ed uno share del 33% (dato ovviamente storico per l’emittente in quota Telecom). Alla luce di questi prevedibili risultati appare ancor più incomprensibile la scelta di Bersani di presentarsi quasi in contemporanea da Vespa: inevitabili i raffronti, i Bersani flop del giorno dopo, con i quali alcuni organi di stampa hanno salutato la comparsata tv del segretario Pd.

Invero i sondaggi davano già da qualche tempo il Pdl in recupero, dopo una perdita di consensi che pareva davvero inarrestabile; basti pensare a quell’incredibile 13%, toccato a novembre in coincidenza con le primarie del Pd, mesto vaticinio di un epilogo analogo a quello dei più importanti partiti di governo della cosiddetta Prima Repubblica. Insomma è nel momento in cui si tocca il fondo che Berlusconi si convince definitivamente della carenza di quid da parte di Alfano, accantona il sempre poco amato progetto-primarie, e si ripresenta come capo di una variegata coalizione incentrata sul patto Pdl-Lega.

E’ chiaro come la vittoria di Pierluigi Bersani e della sinistra sia, a questo punto, certamente meno scontata rispetto a poche settimane fa. Il segretario Pd, che soltanto nel dicembre scorso scandiva non-vedo- l’ora-di-sfidare-Berlusconi, sembra oggi molto più cauto riguardo al tema dei confronti tv; da qui la volontà di considerare solo i candidati premier e non i  “semplici” capi coalizione.  Una scelta legittima, intendiamoci (d’altronde Bersani è ancora in vantaggio, mentre Berlusconi ha l’obbligo di recuperare), ma che tradisce qualche preoccupazione di troppo, considerando l’ottima forma sfoderata dall’ormai anziano Cavaliere. Il quale, dal canto proprio, davvero si diverte di fronte alle telecamere, anche quando gioca fuori casa, come avvenuto l’altra sera a Servizio Pubblico.

Sotto quest’ultimo aspetto non c’è dubbio sul fatto che il duello abbia riguardato esclusivamente Santoro e Berlusconi. Gli altri non sono nemmeno esistiti. Colpisce, in particolar modo, il flop di Travaglio. Dopo averne scritte di tutti i colori per 20 anni (spesso a ragione, intendiamoci) l’allievo di Montanelli non è riuscito a fare una sola domanda diretta al Cavaliere, da uomo a uomo, come si sarebbe detto un tempo, ovvero guardandolo negli occhi; anche i più focosi fans del giornalista sono rimasti chiaramente delusi. Paradigmatica è stata la scena nella quale Berlusconi, alzatosi dalla propria postazione, si dirige verso Travaglio intimandogli di sloggiare, con quest’ultimo che esegue l’ordine e se ne va. Le telecamere e i commentatori hanno indugiato soprattutto sulla gag successiva, Berlusconi che “pulisce” lo scranno dov’era posizionato Travaglio, ma il momento emblematico è il precedente perché riassume perfettamente chi sia stato il vincitore del confronto e, forse, la stessa tempra dei protagonisti in gioco. A peggiorare la situazione poi è intervenuta l’inopportuna, quasi ridicola, querela del giornalista, conseguenza del “papello” letto dall’ex premier in diretta.

Che d’altronde Berlusconi fosse in forma lo si poteva facilmente preventivare. Alle prime, infelici, apparizioni in tv (quelle di fronte alla D’Urso e a Giletti, per intenderci, fino alle insofferenze mostrate da Vespa) era seguito il “match” con la Gruber, risolto a favore del Cavaliere; basti pensare al grottesco epilogo nel quale la conduttrice si vantava delle sue origini “austro-ungariche”, oggetto poi di lievi sberleffi persino da parte di Santoro nel prologo della trasmissione di giovedì. Questi fatti stanno a dimostrare come a Berlusconi facciano mediaticamente bene gli ambienti ostili, le “fosse dei leoni”, le corride, piuttosto che gli intervistatori un tempo accusati di esagerata acquiescenza e pertanto oggi in cerca di “riposizionamento”.

Insomma, a Berlusconi serve un fiero, coerente, “nemico” per esaltarsi. E’ per questo che la routine non fa per lui: al governo “si annoia”.

Sette kg di Tritolo. La Strage Di Piazza Fontana.

L’esplosione avviene il 12 dicembre 1969 alle ore 16,37: una bomba scoppia nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano, uccidendo diciassette persone (quattordici sul colpo) e ferendone altre ottantotto. Nei primi attimi dopo l’attentato non ci si rende conto della reale natura della deflagrazione, tant’è che si diffonde la notizia dell’esplosione della caldaia della banca stessa. Le successive esplosioni e i segni evidenti dello scoppio di un ordigno tuttavia smentiscono quasi subito le prime voci circolate e mettono i milanesi e il resto del Paese davanti alla tragica realtà dei fatti. L’ordigno viene collocato in modo da provocare il massimo numero di vittime: sotto il tavolo al centro del salone riservato alla clientela, di fronte all’emiciclo degli sportelli. La potenza dell’esplosione è testimoniata dagli effetti distruttivi sui locali devastati. Una seconda bomba viene rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Vengono eseguiti i rilievi previsti e successivamente viene fatta brillare distruggendo in tal modo elementi probatori di possibile importanza per risalire all’origine dell’esplosivo e a chi abbia preparato gli ordigni. Una terza bomba esplode a Roma alle 16,55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro con quella di via di San Basilio, ferendo tredici persone. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17,20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in Piazza Venezia, ferendo quattro persone.

Si contano dunque, in quel tragico 12 dicembre, cinque attentati terroristici, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpiscono contemporaneamente le due maggiori città d’Italia: Roma e Milano.

La vicenda è tuttora oggetto di contrastanti interpretazioni.

Riproponiamo la prima puntata della trasmissione La Notte della Repubblica andata in onda il 12 dicembre 1989, giorno del ventesimo anniversario della strage di Piazza Fontana.