SANDRO SACCUCCI: dal paracadute al taxi

A P. VENEZIAdi Ben Oates

Quel film non esiste. La proiezione di Berlino dramma di un popolo, da tempo pubblicizzata da vari quotidiani romani e prevista per la sera del 7 dicembre 1970 presso la palestra di via Eleniana, sede dell’Associazione Nazionale Paracadutisti di Roma, non avviene; il titolo è pura invenzione, forse è una sorta di segnale, di parola d’ordine.

La gente non manca, sono presenti almeno un centinaio di uomini, alcuni con le rispettive accompagnatrici, pronti per assistere allo spettacolo. La serata è stata organizzata da Sandro Saccucci: nato a Roma nel 1943, professione ragioniere commercialista, soprannome Luigi, nome falso Giovanni Sbiroglio da usare in caso di necessità, all’età di 23 anni Saccucci frequenta per sei mesi la scuola di paracadutismo di Pisa e i successivi dodici li trascorre preso la caserma di fanteria paracadutista di Livorno dove termina il servizio militare con il grado di sottotenente di complemento.

Ammiratore di Giuseppe Mazzini prima, poi dell’idea di nazione che aveva avuto Mussolini, senza separarsi dal suo amato basco amaranto, nel 1968 Saccucci entra in Ordine Nuovo assumendo poco dopo una posizione di dissenso verso i vertici rappresentati da Clemente Graziani ed Elio Massagrande, diventati leader del movimento dopo il rientro nel MSI del suo fondatore Pino Rauti.

Saccucci non vede di buon occhio il disaccordo misto a diffidenza che Graziani e Massagrande hanno nei confronti dei ventilati progetti di colpo di stato da parte di Junio Valerio Borghese e del suo Fronte Nazionale. Come molti anche Saccucci nutre per il Comandante stima e considerazione tanto da assumersi il compito di condurre un gruppo che, almeno nelle intenzioni di chi guida l’operazione, deve dare man forte a un’insurrezione armata. Nella meticolosa organizzazione manca un dettaglio fondamentale: informare buona parte dei presenti qual è la vera natura di quell’assembramento, i convenuti devono attendere qualcosa o qualcuno che dia loro il via, ma il via per cosa?

Passano le ore, molti atleti, stanchi di aspettare, si tolgono la tuta e si rivestono con l’intenzione di tornare a casa, ma quando si avvicinano all’uscita si accorgono che le porte sono bloccate: iniziano così le proteste ma Saccucci non c’è, non si sa dove sia, anche se c’è però chi assicura sul suo imminente ritorno. Cominciano così a trapelare le prime voci sul reale motivo di quella convocazione, qualcuno assicura che di li a poco arriveranno gli autocarri e le armi, una notizia questa che diventa fatale a uno dei presenti, probabilmente già sofferente di cuore.

Passa la mezzanotte e di Saccucci nemmeno l’ombra, arrivano le 2.30 e Bruno Stefàno, frequentatore ondivago di Avanguardia Nazionale e ON, ordina lo scioglimento delle righe, una sorta di «tutti a casa», l’ennesimo, tanto che ci vuole la determinazione e la pistola di un capitano dei carabinieri, presente nella palestra, a disperdere i facinorosi, ansiosi di capire il perché di quel contrordine. Nulla da fare, «Il lungamente atteso colpo di Stato» non ci sarà. Saccucci non ha esitato a servirsi di gente ignara, seppur ideologicamente affine al progetto. Pur essendo stato in prigione per quasi un anno per i fatti di quella notte, nel 1972 Saccucci entra in Parlamento nelle file del MSI grazie al quale (e alla DC) sventa ben tre autorizzazioni a procedere.

 

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Arriva il maggio 1976, ci sono le elezioni politiche. C’è da fare la campagna elettorale per la rielezione e per un esponente del MSI farla nella provincia di Latina è come giocare in casa. O quasi. Il giorno 28 su quelle strade circola un piccolo corteo di automobili, sette per la precisione, formato da giovani che sono lì per fare da supporto e protezione all’onorevole Saccucci intenzionato a tenere comizi per l’intera giornata, passando da una cittadina all’altra. La prima della lista è Maenza, l’ultima è Sezze Romano. Quando il corteo di automobili arriva a Sezze è ormai buio, fino a quel momento era filato tutto liscio. Alle elezioni politiche di quattro anni prima, a Sezze il PCI aveva raggiunto il 53% dei suffragi, ma il gruppo di Saccucci si sente comunque al sicuro visto che, dopo tutto, si è sempre dalle parti di Latina. Ma non è così.

Fin da subito l’oratoria dell’ex ufficiale viene interrotta da slogan e lanci di bottiglie da parte di un folto gruppo di giovani dell’estrema sinistra, molti dei quali aderenti a Lotta Continua, giunti fin lì da Roma con l’intento di impedire a Saccucci di tenere il suo discorso. Quest’ultimo continua comunque a parlare, ma quando comincia a sostenere, neppure tanto velatamente, che con le stragi i fascisti non c’entrano, succede il finimondo. Il gruppo di missini è costretto alla fuga, una fuga però praticamente impossibile, Sezze ha un centro storico fatto di viuzze e quelle adiacenti alla piazza sono bloccate.

Al lancio di sassi e bastoni da parte dei contestatori ecco che dal gruppo missino compaiono alcune armi da fuoco, una delle quali impugnata proprio da Saccucci che spara in aria. Riusciti a farsi largo a suon di pallottole, fino a quel momento andate a vuoto, la quindicina di missini riesce a impossessarsi delle sette automobili e a tutta velocità tenta di uscire da quella che ormai è diventata una trappola. Proprio durante la fuga, da una delle auto che segue quella di Saccucci, guidata da Angelo Pistolesi, partono un paio di colpi che feriscono Antonio Spirito e uccidono Luigi Di Rosa, entrambi militanti della sinistra.

L’eco della tragedia è così grande che subito Giorgio Almirante, pur difendendo Saccucci dall’accusa di concorso in omicidio sostenendo la tesi della legittima difesa, decide di espellerlo dal partito. Rinviato a giudizio Saccucci ripara prima in Inghilterra, poi dalla Francia dov’era stato appena arrestato dall’Interpol fugge in Rhodesia, poi lascia lo Stato africano per recarsi in Cile e infine a Cordoba (Argentina). Per i fatti di Sezze, Saccucci viene condannato per concorso morale nell’omicidio, sentenza questa che verrà successivamente annullata per inapplicabilità. Va molto peggio a Pistolesi che verrà assassinato da una mano rimasta ignota un anno e mezzo dopo. Per il tentato colpo di Stato, Saccucci viene condannato in primo grado a quattro anni di reclusione, assolto poi in appello perché il fatto non sussiste. L’ufficiale col basco amaranto che, una volta preso il potere, avrebbe guidato il servizio segreto, il politico con la giacca verde oliva che non esitò a recarsi a un suo comizio armato di pistola e a usarla, a Cordoba quell’uomo finisce per indossare una divisa giallo nera. Quella di tassista.

 

FONTI

Claudio Vitalone, Stralcio della requisitoria del processo sul golpe Borghese, Roma 1978

1° Corte di Assise di Roma Sentenza di 1° grado, 14 luglio 1978.

1° Corte di Assise di Roma Sentenza di appello, 27 novembre 1984.

Sergio Zavoli La notte della Repubblica (trasmissione tv) Rai 1989

Vivendo Parlando-Il testimone Il golpe Borghese (trasmissione tv) TV2000 14 dicembre 1999

Aldo Giannuli L’Italia dei golpe, convegno al Noir in Festival, Courmayeur 10 dicembre 2004

La Storia siamo noi- Il golpe Borghese (trasmissione tv) Rai 3, 2005

Luca Telese Cuori neri, Sperling & Kupfer, Milano 2006

Conversazione telefonica con Sandro Saccucci, 23 marzo 2011.

 

 

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